Settembre è il mese del rientro allo studio, per me quel tempo è ormai lontano ma mi chiedo sempre più spesso se l'università mi abbia adeguatamente formato per la professione che ho scelto ovvero l'architetto. La risposta è Ni. Tra una esercitazione accademica totalmente svincolata dall'aspetto normativo ed un progetto nella realtà professionale ne corre, la prima deve soddisfare pochi parametri assegnati dal docente mentre la seconda deve tenere conto delle esigenze specifiche della committenza e della normativa vigente di non facile applicazione. Districarsi tra la burocrazia ed il cantiere sono cose che nel percorso universitario non si imparano, la progettazione diventa un'esercizio intellettuale stimolante ma che in un contesto professionale non potrebbe reggere. Nei miei datori di lavoro ho spesso osservato l'inaridirsi della creatività a vantaggio di un'approccio concreto ma ripetitivo. L'esame di Stato stesso è più un filtro per contenere il numero di professionisti attivi sul territorio più che una certificazione delle competenze effettive raggiunte dal professionista. A mio avviso la divergenza tra l'università e gli studi di progettazione nuoce alla società in quanto la prima non adempie alla finalità formativa in modo da facilitare l'ingresso nei secondi. E dunque? Avvicinare i programmi delle materie all'Università alla realtà del campo edile, posticipare l'Esame di Stato dopo un serio tirocinio tutelato da un contratto e semplificare gli aspetti normativi ed amministrativi uniformandoli a livello nazionale sono aree di miglioramento necessari per proteggere la committenza ed il patrimonio artistico da professionisti non all'altezza del compito di rendere le nostre città sempre più accoglienti e sostenibili.
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